Ci troviamo di fronte al primo romanzo di Valentina Cucuzzella, che già si è cimentata in racconti, poesie, a parte il fatto che pure dipinge. E' questo il suo romanzo di esordio. Dal titolo "A nascondino col dolore".
Cominciamo innanzi tutto con l'esaminare la situazione che l'autrice prospetta nella sua opera.
Vi troviamo una famiglia costituita da padre, madre, due figli, un maschio e una femmina, e la nonna, che sta con loro; una villetta la loro abitazione; una fabbrica la fonte di guadagno. Nè problemi o di lavoro o di malattie o di sbandamenti dei figli: il grande era docile e studioso, la bambina, sensibile e solare. C'erano tutti i presupposti perché fosse una famiglia felice. E invece no. Questo, che poteva essere un paradiso, proprio i genitori ebbero il potere di trasformarlo in un inferno.
Erano, tutti e due, genitori immaturi, che non sono cresciuti mai, irresponsabili: il padre, un uomo senza carattere che , quando partiva per ragioni di lavoro, affidava al figlio, ragazzino, il compito di sorvegliare nella fabbrica, mettendogli sulle spalle un peso superiore ai suoi anni. La madre che, da quando si era sposata, soffriva sempre di mal di testa, era un continuo piagnisteo, sempre scontenta di tutto, non le andava a genio mai niente: lamentele, rimproveri e grida erano i suoi mezzi di educazione. Un pessimismo tetro, una severità pur di fronte a gesti di amore dei suoi bambini, e una presunzione e un orgoglio che non le facevano assolutamente ammettere di essere nel torto, anzi si sentiva una madre impareggiabile. Inoltre litigi continui tra i genitori.
Questa è l'atmosfera pesante in cui si muove Carolina, la protagonista, dalla sua adolescenza alla giovinezza. Una casa, come ella afferma, "respingente", dove si respirava il clima di quando gli amici se ne vanno e si sente la desolazione, il calore umano che viene meno. In questo clima arido e cupo, cresce e vive i suoi anni più delicati, appunto la ragazzina, il cui disamore tra i genitori, e della madre verso di lei, viene compensato però dall'affetto della nonna, dalla presenza della zia che ogni tanto andava a trovare i suoi nipoti, e dalla bambinaia, chiamata quando ce n'era il bisogno. Solo queste tre persone sono una nota di allegria, vivacità e colore nella vita grigia, e direi anche in certo senso tragica, di una tragedia muta, della ragazzina.
Ora un ambiente così, dove i genitori non proteggono né difendono i figli, diviene facile esca per i malintenzionati; non è difficile sfuggire alla violazione dell'innocenza, e, di fronte a questa, ancora più tragica è la reazione della madre, così come la riporta l'autrice in una sola parola: una risata! Incredibile! Da cui risalta tutta la indifferenza, la incoscienza, verso la figlia.
Una casa che è come una mela, bella di fuori e bacata di dentro.
Dove addirittura si ha la sfrontatezza di festeggiare con gli amici l'anniversario del matrimonio! "Amici fasulli" osserva la figlioletta, che avverte il peso di questo clima carico di falsità e ipocrisia. Un disamore coperto dalla convenzionalità.
Tutto questo, oltre le risposte lancinanti della madre, prive di tenerezza e di comprensione, costituisce per lei una grande sofferenza. La sua vitalità viene mortificata di continuo, sono colpi che infliggono morte al suo spirito, tanto che non prova gioia neanche nella compagnia dei coetanei, che anzi evita, e suoi compagni divengono allora solo i libri.
La lettura è il suo rifugio. L'italiano è la materia che più l'appassiona. Scrivere canzoncine il suo sfogo. E' lì che la sua anima si risveglia, rivive, estasiandosi alla bellezza della ispirazione poetica.
Poesia, che diviene lo sbocco delle sue iniziali canzoncine. E con la poesia anche la prosa. La narrazione. Il romanzo come questo, "A nascondino col dolore".
Ora, come la natura ci offre talora il sorprendente spettacolo di una pianta che nasce nella pietra, nella aridità del terreno, così la vita ci presenta, pur nella desolazione di un ambiente, il fiorire della scrittura, la nascita di uno scrittore.
E forse è proprio quel soffocamento, quel dolore che opprime, che stringe l'anima, la spreme, finchè ne esce un distillato, l'origine dello sbocciare dell'arte, di qualsiasi forma d'arte.
Un esempio di ciò l'abbiamo, tra gli scrittori odierni, in Susanna Tamaro la quale ha spesso dichiarato di essere vissuta nel disamore.
Allora quel dolore che procurava alla protagonista, in questo caso, la madre con il suo carattere burbero e rude, con il suo disamore, diventa fonte di creatività, e la madre allora, anche senza l'intenzione, però in fondo è proprio lei che genera nella figlia la scrittrice.
Sembra un paradosso, ma è la realtà dei fatti. E quasi quasi, anziché considerarla come un tormento e fonte di infelicità, invece da questa prospettiva, risulta addirittura degna di gratitudine, radicandosi in lei il dono ricevuto dalla figlia.
Certo Carolina aveva in sé il germe di questa inclinazione (le canzoncine ne sono il preludio) però forse non sarebbe venuta a galla, non sarebbe sbocciata la scrittura se ella non fosse stata sottoposta a questo torchio, spiacevole certamente, doloroso, molto doloroso, però in definitiva, salutare.
Infatti è proprio il dolore che la rinchiude in se stessa, e in questo ripiegamento c'è il primo passo verso la scrittura, ed è il dolore che, nel bisogno di scacciarlo, la induce a scrivere.
Comincia come un giuoco. Ecco il significato del titolo: "A nascondino col dolore". E' proprio per esorcizzare il dolore che ella sente l'esigenza di esternare i propri sentimenti e le proprie emozioni. E così scrive.
Un dolore che infine si è rivelato costruttivo. Un dolore creativo. Anche se, come lo chiama la ragazzina, poco gentile, amaro, che lascia il vuoto e provoca smarrimento.
Ora su questa madre, particolare, ma non troppo, ( non è un caso isolato), vorrei soffermare l'attenzione ed esaminarla più a fondo.
Questa madre che è l'artefice di questo disastro. Il padre, i figlioletti che forse sono più giudiziosi dei genitori, sono le vittime. Ma in fondo in fondo questa donna, rude, burbera, che tutti giudichiamo senz'altro cattiva, irresponsabile, non potrebbe essere vittima anche lei? Lei che ha per padre il nonno della piccola, che è colui che, in uno scatto d'ira, scaraventa la sua furia sulla nipotina, che però gli sfugge andandosi a nascondere. Ed è da qui che nasce in lei l'impulso di giocare, in un triste giuoco, a nascondino, appunto per sfuggire al dolore. Ora la durezza può incattivire pure una tortorella. Infatti così dice Carolina che confida l'episodio alla nonna: "Sai nonna lo guardavo cattiva. Ma non dipendeva da me." Ecco qui si avverte il condizionamento che influisce sulla natura. Buona la natura che diventa cattiva per la violenza altrui. Del resto la mentalità del passato, il cui strascico si avverte ancora perché in seno ad una famiglia si tramanda da padre in figlio, era improntata al timore. Si era convinti che l'ordine, la disciplina si potessero ottenere solo incutendo timore, e quindi ricorrendo alla minaccia, alla durezza dei modi. Non dimentichiamo che il Novecento è stato il secolo delle dittature. Molti erano i figli di Hitler e di Mussolini. Questo si ripercuoteva in tutti i campi. Nella scuola, con i metodi fiscali, pronti a cogliere in fallo per punire, negli uffici, e così via. Lo stesso Dio era concepito come l'occhio sempre addosso pronto a fulminare alla minima colpa. Non si era ancora affermata l'idea di agire per libera scelta di bene, nella libertà dell'amore, che sola dà il merito di un'azione, perché se uno agisce per timore, sotto minaccia, non è né meritevole nè colpevole. Perché non è libero. Ora questa mentalità c'era, era molto diffusa, donde le grida, i comandi imperiosi, e in questo caso della madre. Che dice: "I figli devono stare sempre ai comandi della madre". Ecco è evidente l'influsso nocivo di questa mentalità che era penetrata pure nella famiglia. E tanti figli ha rovinato alterandone anche la natura, facendoli diventare cattivi o sbandati. Quindi, chissà forse anche la madre, vista sotto questa prospettiva, è, a sua volta una vittima, non di marito e figli, ma dell'ambiente, della società del tempo, del modo di pensare e di agire, dettato dal timore.
Ciò evidentemente generava tristezza, e non solo in chi subiva ovviamente, ma anche in chi provocava tutto questo perché l'uomo è fatto per l'amore, solo questo suscita gioia. Di qui l'atmosfera pesante, proprio lugubre direi, che regnava in questa famiglia. E se c'era festa, era una gioia falsa, artificiosa, di circostanza, ma non proveniva dal cuore.
Perciò l'opera di Valentina Cucuzzella offre vari spunti di riflessione, soprattutto a livello psicologico.
Ancora, in questo clima così tenebroso però c'era una luce e questa era data dalla presenza della nonna, della zia e della bambinaia. La nonna le prestava quelle premure materne che non le dava la madre, le faceva da guida, da consigliera, la capiva, le dava conforto e tenerezza. La zia e la bambinaia erano persone un po' particolari, estrose e bizzarre; positive, allegre, amavano i colori e sapevano cogliere il lato positivo in ogni cosa, pure nella sofferenza. Per Carolina, per la sua giovane età, per il suo carattere, solare, ottimista, che amava la vita, le cose belle, le canzoncine, erano proprio quelle che ci volevano. E sono state forse loro, zia e bambinaia, a risvegliare, a vivificare, a colorire e a rallegrare l'animo della ragazzina e a insegnarle a trovare positività in tutte le cose della vita, in tutti gli aspetti, anche i più dolorosi, che offre l'esistenza.
Un cenno poi non possiamo non fare alla forma in cui si esprime la prosa di Valentina Cucuzzella. Possiamo dire che nel complesso essa è piana, semplice e scorrevole. Il libro è di facile lettura e accessibile a tutti.
Il romanzo, nel complesso, è ben congegnato, si sviluppa secondo una vicenda, inventata o vissuta che sia, che si articola in vari tempi, dalla adolescenza alla giovinezza, della protagonista, e lascia riflettere su gesti, reazioni e personaggi. Come prima opera del genere, possiamo dare un consenso positivo e rivolgere un augurio alla nostra Valentina per il suo avvenire letterario.
Maria Elena Mignosi