Dopo "Fuochi d'artifizio" e "Girotondo", ecco la terza esperienza poetica di Adalpina Fabra Bignardelli. Chi ha la fortuna, come me, di conoscerla, si accorge subito del suo carattere frizzante, effervescente, della sua vivacità nonostante l'età non più verdeggiante. Ma ella ha conservato intatta la sua giovanilità e tutto questo si riflette nella sua poesia.
La fede, il richiamo costante alla visione cristiana della vita, la speranza: son questi gli elementi fondamentali entro cui si articolano i temi da lei trattati, che vanno dalla natura alla famiglia, alla società, alla storia, alla patria, nonché alla vita interiore al raccoglimento, al silenzio, alla riflessione, alla meditazione. Una poesia realistica ma anche intimistica, scritta con uno stile terso, colto ma senza ricercatezze, che procede con semplicità e naturalezza, raggiungendo le alte vette dell'arte, la sublimità. Suggestivi i titoli delle varie sezioni in cui è suddivisa l'opera e altrettanto suggestivi i titoli delle poesie, quasi metafore dell'esistenza umana.
E' veramente poesia pura, autentica, scritta con il cuore e rivelatrice di una esistenza ricca, piena, felice. Felice però secondo le leggi naturali della vita, che non ignorano la morte. E così un posto rilevante occupa la nostalgia dell'amore perduto, e il desiderio di ricongiungersi all'amato sposo è più forte, della paura della morte, anzi non più paura, trepidante com'è di rivederlo.
Dai suoi versi emerge una donna forte, tenace negli affetti e di fronte alle avversità della vita. Una donna che sente anche la responsabilità della testimonianza mentre, attenta osservatrice della realtà del mondo attuale, ne svela amaramente le pecche. Da persona autentica e genuina, ella percepisce immediatamente tutto quanto stona, tutto quanto è maschera di felicità. E cercando la felicità pura, ricerca quella felicità che appaghi la vita interiore.
Maria Elena Mignosi