"Nell'amore c'è sempre un po' di dolore" osservava una mia amica. E si riferiva all'ansia, alla preoccupazione che il pensiero dell'amato suscita quando gli si vuole
risparmiare qualunque sia pur minimo affanno.
Ma in questo libro si tratta di un dolore diverso: lo strazio di un amore che non è riuscito a creare armonia; due innamorati che non sono riusciti ad amalgamarsi,
anzi la loro è stata un'unione stonata, una follia. Manicomio è il titolo che l'autore ha dato alle sue poesie, le quali, più che inventate sembrano sofferte, e tutte
rivolte alla donna da cui poi è avvenuto il distacco.
Un amore dove non si è raggiunta l'unità. Ed è proprio la disunità, se così si può dire, a provocare scompiglio, esterno ed interno; si ha quasi la disintegrazione
della persona. Esperienza terribilmente amara. Il dolore del poeta è pregno di risentimento; non manca l'ironia, il sarcasmo, ma provenienti da un cuore profondamente
ferito. Non indifferente perciò. La delusione, l'astio, la sconfitta dominano sovrane in una stonatura senza via d'uscita.
Ma, ci chiediamo, c'è davvero in questi casi una impossibilità di rimedio? O sta il manicomio nella follia di non impegnarsi da parte di entrambi, o nel non volersi
impegnare, a trovare it rimedio? E' qui una situazione senza spiraglio di luce.
Ricordo che una volta mi ha colpito una frase del re Baldovino del Belgio, che disse: "amore non è guardarsi negli occhi ma guardare nella stessa direzione".
L'Amore con la A maiuscola.
Solo lì il manicomio si può trasformare in armonia. Non basta in certi casi l'amare ma il voler amare. Amare cioè prima che la persona, in concreto, amare l'amore.
Così, prima di amare la propria famiglia, bisogna amare la famiglia.
Maria Elena Mignosi