"... uomo svanito senza sogni e senza speranze". Non è possibile vivere così. Il sogno, la speranza è la molla per intraprendere un percorso. "... siamo
tutti impasto di passato che si scioglie in immagini di sogno, di presente che angoscia e ubriaca, di futuro che si colora di rosee speranze" e soprattutto
siamo esseri umani "che non vogliono essere inghiottiti dal nulla del Tartaro."
Il nulla, il vuoto è da respingere. Ma oltre il sogno e la speranza c'è di più. C'è l'anelito al bene, al vero, a qualcosa che abbia un valore perenne,
universale. A questo punto, Carmelo Fucarino avverte un dissidio interiore tra una forza che lo trascina in giù e una invece in alto. E' l'immagine, di
reminiscenza platonica, dell'uomo che si sente in catene, nel buio della caverna, mentre un riverbero di luce penetra dentro. "La luce inseguo che tremola
nel fondo di nera caverna e ad ogni passo sempre più s'invola". E' la natura umana lasciata all'istinto (si pensi al bimbo piccolo, ai capricci) e la natura
potremmo dire orientata dall'educazione. Il selvatico che c'è nell'essere umano e il ragionevole. Il male e il bene, non disgiunti ma tra loro intersecantesi,
strettamente connessi. Il pendere da un lato o dall'altro determina il bene o il male, la pace o la guerra. "…sorrisi e lacrime sul volto dell'Uomo il frutto
dolce amaro della vita". L'autore di questo libro, di poesie frammiste a brani di prosa anch'essi abbastanza poetici, è nato nel 1938 e ha visto perciò il
Secondo conflitto mondiale e il Dopoguerra. La sua visione serena di per sé, essendo un animo sensibile e delicato, incline alla gioia e anche forse all'allegria,
è di conseguenza come offuscata da un'ombra di tristezza. "Ma qualcosa si è sperduto nei meandri del cuore spaurito, trafitto da schegge di vetro". Egli inoltre,
nativo di Prizzi, paese siciliano di montagna, essendo molto legato al padre che "odorava di erba", ha verso la terra, il lavoro campestre, la selva con
"sospiri di terra, passi dell'esistenza", parole che sgorgano spontanee e veramente poetiche: "E il bambino che il melo scalava ebbro di cime e di sole? e
l'allegria che ruzzava nei prati di smeraldo, odore di erba e di rugiada?...E la segreta voluttà di pianto nelle notti di luna illanguidite dal profumo di gelsomino?"
Si sente che è stato a contatto con la natura, con la campagna: "Dai tetti il fumo riscaldava ritorni e allegrie di parole". Una vita semplice e campagnola.
E anche qui ha fatto esperienza di vita. Infatti come "Talvolta si pianta un ciliegio osservando…il procedere delle stagioni, si prepara il terreno propizio
ad accoglierlo…Poi una tardiva e inattesa gelata primaverile ne brucia le gemme, ne spegne per sempre la linfa vitale", così ha imparato anche che i percorsi,
talora presi con tutte le debite precauzioni, possono invece fallire per un fulmineo imprevisto. I percorsi! I percorsi della vita sono come vicoli ciechi,
traiettorie senza via d'uscita. Percorsi di labirinto. Donde il titolo. Ma c'è di più. Il poeta non si ferma qui. Il suo messaggio non è questo, non è pessimistico.
Allora egli così continua. Anche se, al contrario, il percorso riesce felicemente e tutto va secondo le aspettative, ecco la sorpresa: anziché essere appagati,
subentra, magari dopo un momento di euforia, inevitabile la insoddisfazione. E allora il punto d'arrivo diventa un ulteriore punto di partenza. E così sempre.
Per tutti gli uomini. Ecco anche in questo senso è da intendere il titolo: Percorsi di labirinto. Dopo uno ne segue un altro in un inestricabile groviglio di percorsi,
di vario genere, ora piani ora aspri, ora insidiosi ora sereni. Ma sempre segue l'insoddisfazione. Anche questa che potrebbe sembrare una conclusione definitiva però
non è ancora il messaggio che l'autore vuole dare. Ora tutti questi percorsi, quelli che riempiono la esistenza di una persona, costituiscono l'esperienza che questa
fa di volta in volta. E quindi non si finisce mai di fare esperienza. Si ripetono magari sempre gli stessi errori. "E ora?" si chiede infine l'autore. Mollare tutto,
cedere, rassegnarsi e deporre le armi? Ecco sta qui il punto, il nucleo del libro, il suo significato. E allora il messaggio è racchiuso nelle ultime parole del libro:
"La certezza dell'inutilità dell'esperienza sarebbe la morte". E' un messaggio positivo che sprona alla lotta: a cominciare e a ricominciare. E' un messaggio di speranza.
Nonostante l'inquietudine. E al proposito ci viene in mente la famosa frase di Sant'Agostino: "Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non
riposa in te".
Maria Elena Mignosi