Una voce poetica siciliana si leva da Trapani, città dove vive. E' Nino Barone, nativo di Erice. Poeta dialettale, più volte gratificato con prestigiosi, e anche primi, premi, fortemente impregnato dell'atmosfera dei suoi luoghi. Si sente in lui ad esempio l'eco della famosa processione dei Misteri, che si svolge a Trapani il Venerdì Santo, si sente lo stupore di fronte alle bellezze paesaggistiche di quelle zone, ma soprattutto in questa sua ultima silloge di poesie, dal titolo Petri senza tempu, si avverte il fascino esercitato su di lui da un elemento della natura, la pietra, che, diversamente da come in genere viene considerata associandola all'idea della durezza, della insensibilità (cuore di pietra), qui invece viene associata alla idea della solidità, della durata. Certo il poeta risente delle impressioni rimaste scolpite nel suo animo sin da quando era bambino, le impressioni lasciategli dalle pietre ad esempio delle case di Erice, costruite appunto pietra su pietra, che resistono ancora oggi al tempo, o ancora dalle rovine archeologiche di Segesta con il suo tempio e il suo teatro, che sfidano i secoli.
Ma prima di addentrarci nel cuore della poesia di Nino Barone, prima cioè di andare al nucleo che ha riferimento alla pietra, che è un elemento positivo dunque, prendiamo l'avvio dalla considerazione di un altro aspetto, questa volta negativo della Sicilia, spesso sottaciuto, ma diffusissimo, e a tutti i livelli, di cui non si sa fino a che punto i siciliani abbiano consapevolezza come piaga, perché talora, invece di vergognarsene, ne traggono addirittura motivo di vanto come fosse una sorta di prodezza. E' un aspetto che sicuramente deriva dai Greci che come tutti, e come tutte le cose, non sono stati esenti dalla coesistenza in loro di bene e di male. Infatti gli antichi Greci furono sì i ricercatori della sapienza, i cultori del bello, ma, non dimentichiamo, furono anche gli artefici del cavallo di Troia. Si tratta dell'inganno ai fini del proprio tornaconto. La furbizia. Ora è un grande merito di Nino Barone l'avere messo in luce questa deplorevole e atavica consuetudine, questa tattica dei siciliani che li rende invisi agli altri, nonostante tanti pregi che essi abbiano.
Passiamo allora a esaminare i versi della silloge Petri senza tempu che ci attestano proprio questo grande difetto.
Nella poesia Picciriddi il poeta contrappone i bambini ai grandi e sono i bambini che insegnano la vita con la loro innocenza, cioè con la loro purezza che non può nuocere, mentre i grandi sono sempre pronti a una "mossa trapulera", una mossa con la quale tendono una trappola. I grandi hanno sempre pronta un'insidia.
Questo atteggiamento provoca una serie di conseguenze nefaste. Innanzi tutto la diffidenza. In Nsamai "occhi spaisati / ncòntranu / àutri occhi / senza mai taliàrili". E con la diffidenza si crea un clima dove non si vive lo spirito della libertà e la vita diventa come un carcere: "comu si l'essiri / nsèmmula/ ad àutra genti / renni l'omu carciaratu".
Evidentemente ci sono le eccezioni. E il poeta in mezzo a tanti colpi mancini, ha l'impressione di vivere per un attimo il paradiso, quando non avviene così: "Comu saitti / arrivanu / batosti / chi nun reggiu…lu cori s'appinia / arranca / na stizza di lustrura / mi pari paradisu". Il cuore si amareggia invece alle trappole, alle insidie, perché l'inganno, che non è certo dettato da benevolenza, anche se non fa rumore come le scoppiettate, però è pure una forma di uccisione, di uccisione morale.
E' una forma di odio, certamente di mancanza di considerazione dell'altro, di indifferenza. "Ngrassa / lu ciumi / di la nniffirenza …mentri avanza / lu disertu di la vita". La società è per il poeta come una matassa ingarbugliata dove è difficile vivere il contrario dell'odio, cioè l'amore: "lu restu / è sulu spaziu / dunni curtivu / stu ghiómmaru / d'amuri".
A questo punto si fa strada nella concezione di Nino Barone un certo scetticismo nel constatare la immobilità di questa situazione, che, abbiamo detto, è un malcostume atavico: "a Pasqua / cca si mori". Non c'è resurrezione. Non è pessimismo però il suo, è realismo, perché in effetti è così.
Il realismo lo ravvisiamo anche nell'analisi di altri mali che hanno investito la Sicilia, come la perdita dei valori, che prima comunque sotto altri aspetti c'erano. Egli avverte qui il cambiamento in peggio: "nun sentu chiù/ lu ciauru / di ddu tempu". Oggi sembra che si sia perduta la bussola, la ragione è offuscata, si corre dietro non si sa quale meta: "La bùssula/ funniu", "la ragiuni / nun havi chiù tilaru", "Ormai / lu munnu / è un pàliu / dunni / cavaddi / mpazzuti / cùrrinu / pi iùnciri/ a la meta / sapiddu / quali meta".
Questo male si aggiunge ad altri mali di sempre come la ingiustizia, la disuguaglianza, la miseria: "cruci senza nomi / ognunu / di ssi Cristi", "figghiastru di la vita…lu me suli / tramunta la matina", "vucchi aperti/ aspettanu sustanza".
Nino Barone si sente soffocare da questa atmosfera cupa e stagnante, egli che, animo sensibile, delicato, è incline alla riflessione, anelante al bene e al meglio, e perciò in un primo tempo cerca come una evasione. Allora, dice: "mi chiuru l'occhi / e volu" oppure: "stiornu / fu comu vulari / vulari / luntanu". Evade col pensiero.
Ma la sua poesia non finisce qui. Anzi ora ci inoltriamo nel cuore di questa.
E allora si intravede uno spiraglio di luce, di bene, di libertà. "Semu pàmpini / strazzati / 'n cerca / di cantuneri / dunni / rispirari / libirtà".
I pensieri allora nel silenzio della notte si affollano nella sua mente, sorgono spontanei, quasi a sorpresa: "cui siti…semu li toi pinseri". Scaturiscono da un lavorio di riflessione e prima ancora di ascolto. "Ascutu / palori…chi dùnanu sensu / a la vita…vintati / di saggia spirienza / c'ascutu / pi fàrimi omu". Egli non si arrende alla desolazione che vede intorno a sé, e scrive: " sdisulatu / cercu / lu sensu / di l'esistiri".
A un certo punto i pensieri che sgorgano quasi a fiumi, d'improvviso si fanno parole: "Pinseri…nèscinu / facènnusi / palora".
Impellente diventa l'anelito alla libertà: "voggiuh taliari / nta l'occhi / li mei figghi / sapennu d'essiri / libiru".
E' la poesia, "la sula vintata di luci". Regno di libertà e di verità.
E così Nino Barone diventa poeta: "fazzu lu pueta", "Scrivu …scrivu…di ciuri mai sbucciati…e d'un surdami / c'accupa / sta me terra".
Qui nella poesia egli trova sollievo: "Palori…a l'ummira d'iddi / mi posu/ e m'arrifriscu l'arma".
"Comu un cardiddu / cantu".
Però in questo egli si sente una voce isolata e inascoltata: "ma nun canusciu / aniru / chi cogghi / lu me versu".
Nella poesia avverte la solitudine: " mi sentu sulu", "sugnu na vuci / 'n cerca d'aricchi / e ntisa". Chi, in questa società, è disposto ad ascoltarlo?
E "sulu / tra celu / e terra". E qui emerge appieno la tensione del poeta a superare la realtà e ad aspirare a mete più alte e pure.
Ritorna la Sicilia: "pi sta Sicilia / …spirduta / muta / sdisulata" dove dice il poeta "tuttu mi pari novu / e vecchiu / tuttu mi pari vita / e morti".
Nella poesia l'uomo, la vita, il tempo, la storia.
Fa capolino la pietra: "ed io mi ricanusciu / 'n ogni basulatu / dunni scurpita c'è / la vita mia". Siamo alla perfetta simbiosi tra il poeta e le pietre che hanno accompagnato la sua esistenza. Tra Nino Barone e il contesto in cui è vissuto. Trapani Erice.
E continua con l'ammirazione verso quelle pietre che testimoniano la gloria di popoli passati.: "Basuli…palazzi / di petra / mura di tufu… chi jisanu / banneri / di la gloria / mi calu / davanzi stu tempiu di vita".
Ecco la pietra nella sua durata, ecco la pietra che sfida il tempo.
E la pietra, in quanto testimone di storia, è accostata alla poesia, testimone di vita.
La poesia è così una pietra senza tempo. Foriera di immortalità.
Ma a questo punto con grande gioia il poeta prorompe così: "Lu versu meu / chiù beddu / me mugghieri / la me puisia / chiù nfuta / li mei figghi". Nino Barone, felicemente sposato e padre di due figli, trova nella famiglia, oltre che nella poesia, quell'ambito dove poter vivere così come egli desidera, in libertà di spirito, perché l'amore, di cui la famiglia è il regno, la rende possibile mentre invece fuori non si può vivere, o quanto meno è più difficoltoso. E così egli "Stancu / abbilutu…aspettu / la notti… lu rispiru / di li figghi / e li peri / di me mogghi / nturciuniati / tra li mei / mi cummogghiu di silenziu".
Nella famiglia si rilassa, si distende. Se c'è preoccupazione è sempre per amore come quando egli si chiede se le colpe dei padri ricadano sui figli: "cusà / si li mei curpi / li curpi di li granni…li chiàncinu li figghi" e conclude: "mi scantu di mia stessu". Ma è un timore sempre d'amore.
E ora, dopo esserci addentrati nel nucleo della poesia di Nino Barone, con la poesia e la famiglia quasi mare di quiete, in contrapposizione al resto della società, ora ci volgiamo verso quello che rappresenta il vertice della sua poesia. Ci viene in aiuto anche la copertina del libro la cui immagine raffigura un suggestivo scorcio di Erice e in cui risaltano le pietre, nelle case costruite pietra su pietra, nella strada acciottolata, che hanno resistito per secoli e stanno lì a sfidare il tempo. Ecco, e qui sta tutto il significato dell'opera, che costituisce anche un messaggio: come poesia e famiglia ci hanno dimostrato, è solamente nell'amore, il quale, solo, consente di vivere la libertà, di spirito, che allora noi uomini possiamo sfidare il tempo, perché, come si sa, l'amore è più forte della morte. Solo nell'amore, dunque, noi esseri umani potremmo dire, con Nino Barone: "semu petri senza tempu".
In conclusione è la poesia di Nino Barone una poesia molto profonda e che richiede profondità nell'interpretarla se la si vuole cogliere nei suoi motivi ispiratori originari e se si vuole riuscire a cogliere il senso globale di tutti i versi, giungendo anche all'unitarietà.
La possiamo riassumere tutta, questa della silloge Petri senza tempu, nelle seguenti parole: in una società, quella siciliana, dove domina una sorta di tacita sopraffazione che muove dall'inganno, una società dove perdurano mali come la ingiustizia, la disuguaglianza, la miseria, dove gli uomini sono allo sbando oggi avendo perduto ogni punto di riferimento, avendo smarrito i valori, però in questa desolazione c'è una luce, ci si può appigliare ad una ancora di salvezza.
Questa ancora di salvezza è costituita dalla poesia e dalla famiglia, che sono gli ambiti in cui si vive qualcosa di saldo, di assolutamente giusto e perciò vero. E' l'ambito, quello della poesia e dell'amore, dove si vive dunque di verità, verità che è amore.
Questo consente di vivere in libertà di spirito, per cui non si avverte il peso del vivere, come avviene nella società.
Non solo, e qui siamo al vertice dell'arte poetica di Nino Barone, nella poesia e nella famiglia, vivendo di verità, amore e libertà si può assaporare l'eterno, sfidando addirittura il tempo come fanno le pietre. Solo così, travalicando in questo modo la realtà, trascendendo la contingenza delle cose, noi uomini possiamo fermamente dire di essere "petri senza tempu".
Maria Elena Mignosi