Le liriche custodite nella silloge dal titolo Finestre del cuore bastano già per indicare l'autentico itinerario esistenziale di Maria Elena Mignosi Picone,
certamente dettato dall'esclusività della parola voluta dalla fede.
Una filigrana di versi delicatamente esibiti -essenziali nella forma così come nella sostanza- eppure capaci di rappresentare l'ardente desiderio della poetessa di
dialogare con se stessa, con gli altri e con il Cosmo tutto; ma anche un intreccio di vissuti esistenziali che uniti insieme danno vita ad un insolito romanzo,
un racconto anomalo, una narrazione felice, dove l'irripetibile "infanzia" si unisce alle esclusive "amicizie", le "parentele" al "vicinato", le proprie "dimore"
agli universali "paesaggi", le personali "esperienze" alle "meraviglie" del creato, e ancora i singolari "eventi" agli assoluti "affetti" e, infine la bellezza
dell'"umanità" alla "sublimità" dell'esserci.
Certamente siamo in presenza di un travaglio interiore -gentilmente donato ad ogni possibile lettore- che evidenzia, con prudenza, da un lato l'esigenza del confronto
veritativo in nome dell'armonia, della consonanza e della corrispondenza di "amorosi sensi", dall'altro la nostalgia dei dolci ricordi invocati in un'atmosfera
spesso surreale, nonché i sottili sbandamenti e le lievi amarezze quotidiane, quest'ultime mai urlate ma piuttosto svelate trepidamente, e comunque vissute,
in piena coerenza col messaggio cristiano.
E nel celebrare "le vette del cielo e gli abissi dell'inferno" attraverso un mosaico di immagini simboliche, espresse grazie un semplice ma costruttivo linguaggio, dotato,
naturalmente, di un ritmo dolcemente melodico, la Nostra, al contrario dei più e dei dormienti, proclama, unitamente agli uomini di buona volontà, l'ostinazione
a non riconoscere ripiegamenti e rese, rinunce e abbandoni, volgarità e bassezze,solitudine e nichilismo, in nome, semplicemente, della "dolcezza d'amore" che
da sola "ridona la vita", in perenne battito.
Un diario di bordo, un'agenda preziosa, un raro scrigno, dove utilizzando la nitidezza dell'inchiostro che solo l'alfabeto del vero avvertire può dettare, la poetessa
palermitana, con atteggiamento altamente magistrale, festeggia quella strana sete d'immensità che inevitabilmente genera l'affannosa ricerca dell'eternità la
quale se non conduce, certamente avvicina al Bello, all'Amore, al Vero.
E ricoperta dal manto della spiritualità e avvolta dal velo della carità, così scrive Maria Elena Mignosi Picone: "Como ditta dentro vo significando, diceva il Sommo
Poeta; perché lui, Dante, si sentiva un mezzo, un ponte tra Dio e il mondo. Madre Tersa di Calcutta si sentiva una matita, san Josemaria una busta, la lettera
non era lui a scriverla. Poetessa mi sento dire e mi sorprendo. Poeta è Dio e una penna biro mi sento io."
"Un mezzo(…) uno strumento, un portavoce", certamente assistito dall'alto;…una "biro" irripetibile e benedetta;…una preziosa "penna",…veramente un "dono", lasciateci
aggiungere, consapevoli come siamo che dopo la lettura di quei versi, editi da Thule, (Palermo, 2013), si avverte la necessità di ringraziare l'Autrice per
quelle finestre intrepide, per quel cuore ancora palpitante.
Maria Patrizia Alotta