Un tenerissimo diario scritto da un ragazzino appena undicenne che si trovava lontano dalla famiglia in Piemonte, per motivi di studio, nel ghetto ebreo di Asti.
Nell'arco di un anno, il 1822, scorre la vita scolastica quotidiana, fatta di lezioni, svaghi, compagni, insegnanti, visite dei parenti, pratiche di culto giudaiche,
abitudini e norme.
Risalta una affetto familiare veramente profondo e delicato: le tipiche preoccupazioni dei genitori sulla salute del figlio e le sue rassicurazioni sul colorito
della carnagione e dell'appetito; la trepidazione per i programmati incontri; la lontananza da casa, che sicuramente responsabilizza ancora di più. Emanuele avverte
come suo imprescindibile impegno l'informare i genitori sui progressi compiuti,e riferisce loro non solo i fatti ma anche le sue riflessioni, per ricevere suggerimenti
e orientamenti di vita. Sente profonda l'esigenza di una formazione non solo scolastica ma anche umana. Stupisce per quell'età l'acutezza della mente, la finezza del
sentire e l'assennatezza della condotta. Non manca ora una garbata ironia ora un'acerba impazienza, ma questo contribuisce a una maggiore attrattiva. Come pure il
linguaggio, che è un italiano in via di apprendimento e risente del gergo ebraico-piemontese, ma proprio per questo presenta il fascino della freschezza.
Maria Elena Mignosi